mercoledì 4 ottobre 2017

Unione Europea e Mediterraneo, per interesse o per passione? (di Sergio Diana)

Il Mediterraneo è sempre stato presente nel dibattito politico dell'Unione Europea. Sin dalle origini del suo processo di costruzione, la definizione di politiche e l’elaborazione di strategie in materia è stata inevitabilmente caratterizzata da fasi alterne, condizionate dalla situazione internazionale, dalla presenza di ex-colonie e dal complesso processo di costruzione europea. Oggi più che mai serve un diverso approccio all'altezza della complessa situazione che viviamo.

Il Mediterraneo e la nuova Europa

Nella metà degli anni 70 una “Comunità Economica Europea” ancora giovane si preparava ad accogliere 3 nuovi paesi, il Portogallo, la Grecia e la Spagna, appena liberatisi dalla dittatura. Con il loro ingresso nella CEE, avvenuto all'inizio degli anni 80, la dimensione Mediterranea del progetto europeo si ampliava ulteriormente. Spinta dai grandi sconvolgimenti in atto sulla scena internazionale, alla fine degli anni '80, con la fine della “guerra fredda” e la caduta del muro di Berlino, i Paesi membri della CEE avviarono una serie di Conferenze intergovernative che si sarebbero poi concluse a Maastricht nel 1992 con la firma dell'omonimo Trattato. La Comunità Europea diventava così Unione Europea. Il Trattato introdusse nuove politiche e forme di cooperazione, inclusa la Politica Estera e di Sicurezza.
In quel periodo, nel 2004, l'UE realizzò il più grande ampliamento della sua storia, sia per numero che per diversità, con l'ingresso di 10 nuovi Paesi membri di cui 4 si affacciano sul Mediterraneo: Cipro, Slovenia, Malta, Croazia. Un processo di allargamento secondo alcuni affrettato e fortemente voluto dalla Germania che, grazie al contributo Europeo, si assicurò un immenso Mercato in continua espansione. L'Asse dell'UE si era comunque spostato verso l'Area Centro-Orientale del Continente.

Il Trattato di Lisbona, la crisi e la Cina 

Dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona (2009) e dinanzi ad una Unione che assiste passivamente sia all'uscita di un proprio membro storico che alla diffusione di movimenti e partiti politici populisti che minacciano l'abbandono del progetto Europeo, oggi come ieri una serie di criticità a livello interno e internazionale impediscono la definizione di una efficace Politica Mediterranea e il buon esito dei vari episodi di programmazione susseguitisi nel tempo (MEDA, ENPI CBC MED, ENI CBC MED..). Lasciando da parte il singolare “dossier” della Turchia, si tratta di certo della crisi economica e sociale, dell'esplosione del fenomeno dell'immigrazione, dell'acuirsi dei conflitti e dello spinoso “dossier” israelo-palestinese. Ma si tratta soprattutto della disparità di vedute tra i governi degli Stati membri dell'UE, spesso condizionate dagli Stati Uniti, dalle lobby e/o da motivi commerciali e di supremazia.
In tale ambito giunge a complicare le cose la BRI” (Belt & Road Initiative), la strategia lanciata dalla Cina per realizzare la nuova “Via della Seta” che unirebbe il “Far East” all'Europa e, aprendo una nuova via commerciale verso il Sud del Continente Europeo attraverso i porti del Mediterraneo, strapperebbe una buona fetta di traffici agli scali del Nord Europa.
Tutti elementi che impediscono scelte coraggiose e efficaci politiche di inclusione simili a quelle che, come si è accennato, dopo la caduta del Muro di Berlino impegnano prepotentemente l'UE ad ampliarsi verso l'Europa Centro-Orientale.

 

"Governance", poteri della UE e confusione internazionale 

Il problema di fondo resta sempre e comunque l'effettivo potere dell'UE in materia di Politica Estera. Secondo il vigente Trattato sull'UE, in estrema sintesi, se tutti e 27 i paesi membri non sono unanimemente d'accordo l'UE non può muovere un dito. E il futuro non promette nulla di buono, considerato che il recente exploit del Presidente della Commissione Europea Juncker sullo Stato dell'Unione, insieme alle sue “Cinque proposte per il futuro dell’Europa” non intendono assolutamente modificare lo status quo.
Complica le cose il fatto che l'intervento europeo nell'Area Mediterranea, come per la Politica europea di Cooperazione allo Sviluppo, è fortemente condizionato dalla Politica estera e si intreccia con diverse e importanti politiche europee quali: Aiuti umanitari e protezione civile, Politica commerciale, Allargamento dell’UE, Ambiente, unitamente a politiche particolarmente sensibili e dominate da potenti lobby internazionali quali: la Politica energeticae, non da ultima, la costosa e prepotente Politica di Sicurezza e difesa.
Venendo all'attuale “Governance”, l'approccio dell'UE nel Mediterraneo è incentrato sulla Politica Europea di Vicinato (PEV) e, all'interno di questa, sull'Unione per il Mediterraneo. Si tratta di una politica bilaterale tra: Unione Europea, ciascuno dei 27 Stati membri e ciascuno dei 16 paesi del Mediterraneo coinvolti. Creata nel 2008 su iniziativa del Presidente francese Sarkozy, l'UpM è un contesto di relazioni politiche, economiche e sociali che si ispira agli obiettivi del Partenariato Euromediterraneo (PEM), il quadro internazionale di relazioni multilaterali istituito a Barcellona nel lontano 1995 e guidato prevalentemente dai governi degli stati coinvolti. Difficile seguire l'intervento internazionale nell'Area, tra l'UE, l'OCSE, il Consiglio d'Europa, le strutture dell’UpM e quelle del PEM, l'Assemblea parlamentare dell'Unione per il Mediterraneo, Assemblea regionale e locale euro-mediterranea, la Fondazione Anna Lindh, i vari Comitati economici e sociali europei...

La programmazione ed il sostegno finanziario dell'UE 

Dal punto di vista del sostegno finanziario, la PEV interviene attraverso lo Strumento Europeo di Vicinato (ENI). In particolare, la parte di ENI che sostiene finanziariamente la cooperazione transfrontaliera tra le regioni che si affacciano sul Mediterraneo è ENI CBC MED. Ha una dotazione finanziaria di 15.432,63 miliardi di € per il periodo 2014-2020 e interviene per “promuovere uno sviluppo economico, sociale e territoriale giusto, equo e sostenibile, favorevole all'integrazione transfrontaliera e che valorizzi i territori e i valori dei paesi partecipanti”. In relazione alla partecipazione effettiva dei paesi extra-UE, occorre sottolineare che questa è subordinata alla sottoscrizione da parte di ciascuno di un apposito accordo finanziario. Al 19 luglio scorso, dei dodici paesi extra-UE coinvolti hanno sottoscritto un accordo soltanto Giordania, Palestina e Tunisia. Nonostante le modifiche apportate al Programma rispetto al precedente ENPI (2007-2013) e nonostante la palese difficoltà nel negoziare un partenariato valido, efficace e in grado di rappresentare concretamente l'Area oggetto dell'intervento, il 20 agosto scorso è stato pubblicato un primo bando che, con una dotazione complessiva di 84.668.413,86€, è rivolto a finanziare progetti cosiddetti “standard”, ossia a carattere dimostrativo e per azioni pilota. Gli obiettivi del bando, ambiziosi rispetto all'esiguità della partnership coinvolta nella sponda Sud, se da un lato mirano ad eccitare gli addetti ai lavori con azioni “people to people" e di rafforzamento della “ownership” dei soggetti coinvolti, dall'altro vorrebbero incoraggiare una partecipazione attiva della Società Civile. 

Un nuovo e diverso approccio Mediterraneo

Da quanto ho esposto ritengo che sia le politiche mediterranee (o “per il Mediterraneo”) che la programmazione degli interventi e la gestione del sostegno finanziario per il periodo 2014-2020, sono destinati a risultati mediocri e ad un impatto pressoché insignificante su un'Area che, data la sua importanza, meriterebbe ben altra attenzione.
Urge dunque un rinnovato approccio che tenga conto, in particolare:
1.   dei limiti di manovra che attualmente vincolano la Politica Estera dell'Unione Europea;
2.  della necessità di superare la visione “eurocentrica” e assistenzialista che ha sinora ispirato l'intervento europeo nelle dinamiche mediterranee;
3.   della coerenza tra la PEV e le altre politiche europee interessate;
4. della necessaria revisione e semplificazione, soprattutto in un ottica di coerenza, efficacia e risparmio di risorse, dell'intervento internazionale nell'Area.
Un nuovo e diverso approccio “dal basso”, concordato, deciso e governato dalla Società Civile e dalle regioni di entrambe le sponde del Mediterraneo (che solo in una fase successiva coinvolgerebbe l'Unione Europea e le altre organizzazioni internazionali interessate), allo scopo di sviluppare una concreta e efficace capacità di rispondere rapidamente alle trasformazioni in atto, progettando insieme un futuro condiviso e co-gestito di Pace e stabilità, con particolare riguardo al benessere delle popolazioni e delle Società che vivono e intendono prosperare sulle sponde del Nostro Mare. 

Un bel rapporto fondato più sulla Passione che sull'interesse.