venerdì 2 dicembre 2016

Il Referendum, l'Europa e la Sardegna




Tutti sanno, o fanno finta di non sapere, che questo Referendum fa parte di un quadro disegnato altrove che non riguarda solo l'Italia. E non si tratta solo delle calorose raccomandazioni espresse dalla finanziaria J.P. Morgan nel documento “Aggiustamenti nell’area euro”. 
Nei principali contesti politici europei, in particolare in seno al Parlamento Europeo e al Comitato delle Regioni, da piú parti si manifesta preoccupazione per il fatto che, in Europa, sia in atto una strisciante tendenza a delegittimare le regioni (e gli enti locali), principali concorrenti degli stati membri in un processo di riforma politico-istituzionale dell'UE che, come auspicato dagli stessi padri fondatori*, vedrebbe gli stati scomparire per lasciare il posto a queste ultime nell'Europa del Futuro.
Ed è così che a Bruxelles si inizia a sentir parlare di “Europa PER le Regioni” e non piú di “Europa DELLE Regioni”** ne, tantomeno, di Europa dei Popoli...Il che ci fa capire bene come, ormai, la tendenza sia quella di proseguire nel progetto di Unione Europea “à la carte, cioè ad uso e consumo di alcuni stati membri. Comodo capro espiatorio per paesi governati da incapaci; terreno di gioco di lobby senza scrupoli o pratico gioccattolino grazie al quale, ciò che non passerebbe mai dalla porta nazionale, entra dalla finestra europea.
Il referendum del 4 dicembre è un importante tassello di questo scenario e, come accade spesso, l'Italia fa da testa di ponte per testare un nuovo, pericoloso, approccio. Questa volta rivolto anche a delegittimare il ruolo delle regioni in Europa, assicurando la massima concentrazione  del potere nelle mani degli stati membri e, soprattutto, di alcuni stati membri, come la Germania.

 

In questo contesto, cosa accadrà in Sardegna se il 4 dicembre vincerà il NO?

L'UE gestisce un bilancio di 1089 miliardi di €. Di questi mille miliardi, nel periodo dal 2014 al 2020, circa 370 miliardi vengono gestiti dalle regioni europee attraverso la Politica di coesione economica, sociale e territoriale. Dunque, le regioni europee decidono come destinare una parte significativa di questo bilancio. Lo fanno attraverso i fondi strutturali, qui da noi noti meglio come “I POR”.
In Sardegna, solo attraverso il POR relativo al Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR), sono oltre 930 i milioni di € gestiti dalla Regione Sardegna
Di questi, una gran parte va a finanziare interventi in ambiti quali: Energia (150 M€), Tutela dell’ambiente e prevenzione dei rischi (56 M€), Uso efficiente delle risorse e valorizzazione degli attrattori naturali, culturali e turistici (164 M€), senza considerare le misure del POR collegate a tali ambiti quali, ad esempio, la Competitività del sistema produttivo, dotata di 213 M€, e non considerando le Misure in materia energetica e ambientale previste dal ricco Piano di Sviluppo Rurale (1.308.406.250 €). 
Un sostegno finanziario fondamentale per i nostri territori che, se dovesse passare la “riforma” oggetto del referendum, saranno costretti a rinunciarvi definitivamente, in quanto si tratterebbe di materie sicuramente sottratte tutte alla competenza della Regione. 

*"Scrivevo trent'anni fa e seguitai a ripetere invano e ripeto oggi, spero, dopo le terribili esperienze sofferte, non più invano, che il nemico numero uno della civiltà, della prosperità, ed oggi si deve aggiungere della vita medesima dei popoli, è il mito della sovranità assoluta degli stati. Questo mito funesto è il vero generatore delle guerre; desso arma gli stati per la conquista dallo spazio vitale; desso pronuncia la scomunica contro gli emigranti dei paesi poveri; desso crea le barriere doganali e, impoverendo i popoli, li spinge ad immaginare che, ritornando all'economia predatoria dei selvaggi, essi possano conquistare ricchezza e potenza. In un'Europa in cui ogni dove si osservano rabbiosi ritorni a pestiferi miti nazionalistici, in cui improvvisamente si scoprono passionali correnti patriottiche in chi sino a ieri professava idee internazionalistiche, in quest'Europa nella quale ad ogni piè sospinto si veggono con raccapriccio riformarsi tendenze bellicistiche, urge compiere un'opera di unificazione. Opera, dico, e non predicazione. Vano è predicare pace e concordia, quando alle porte urge Annibale, quando negli animi di troppi Europei tornano a fiammeggiare le passioni nazionalistiche. Non basta predicare gli Stati Uniti di Europa ed indire congressi di parlamentari. Quel che importa è che i parlamenti di questi minuscoli stati i quali compongono la divisa Europa, rinuncino ad una parte della loro sovranità a pro di un Parlamento nel quale siano rappresentati, in una camera elettiva, direttamente i popoli europei nella loro unità, senza distinzione fra stato e stato ed in proporzione al numero degli abitanti e nella camera degli stati siano rappresentati, a parità di numero, i singoli stati. Questo è l'unico ideale per cui valga la pena di lavorare; l'unico ideale capace a salvare la vera indipendenza dei popoli, la quale non consiste nelle armi, nelle barriere doganali, nella limitazione dei sistemi ferroviari, fluviali, portuali, elettrici e simili al territorio nazionale, bensì nella scuola, nelle arti, nei costumi, nelle istituzioni culturali, in tutto ciò che dà vita allo spirito e fa sì che ogni popolo sappia contribuire qualcosa alla vita spirituale degli altri popoli. Ma alla conquista di una ricca varietà di vite nazionali liberamente operanti nel quadro della unificata vita europea, noi non arriveremo mai se qualcuno dei popoli europei non se ne faccia banditore. "  Dal Discorso di Luigi Einaudi alla Costituente, 29 luglio 1947, Roma 


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