domenica 30 aprile 2017

Senza l’Europa, né sostenibilità né indipendenza


 
Dopo attenta riflessione intervengo nel recente dibattito su sostenibilità/indipendentismo e altro, ospitato da Anthony Muroni nel suo Blog.

Ho letto con interesse le opinioni di Cristiano Sabino, di Bustiano Cumpostu, di Anthony Muroni, Vito Biolchini e di Alessandro Mongili e, in quasi tutte, in un modo o nell’altro, si fa riferimento all’Europa, ambito che seguo da tempo per passione personale e professionale.
Non intendo complicare le cose. Anzi! Spero di dare il mio contributo e qualche elemento di riflessione.
Mi tuffo quindi nell’Agorà di Muroni con due questioni:
– Ê opportuno continuare ad inseguire l’indipendenza, senza aver dimostrato di saper gestire e coltivare l’autonomia?
– Non sarebbe meglio investire su un progetto più ampio e condiviso come l’Europa delle Regioni?
Per quanto riguarda la prima questione, sono da molto tempo fortemente convinto che l’unica via per assicurare alla Sardegna, e a chi ci vive, un’esistenza e un futuro liberi e dignitosi, sia quella di affrancarsi da questo sistema economico-finanziario (sostenuto da una specie di “sistema politico” connivente, opportunamente plasmato, ben oliato e premiato) che sta portando noi e l’intero Pianeta alla rovina.
Dall’altra parte sono anche convinto che per far questo e, quindi, ambire all’indipendenza, non solo da uno Stato ma da un sistema, occorre un elemento fondamentale: un Popolo unito. Elemento che in Sardegna è presente solo in piccolissima parte. È sufficiente guardarsi intorno per notarlo. So che questa affermazione susciterà l’indignazione di qualcuno ma Popolo non si nasce, lo si diventa. Quindi siamo teoricamente ancora in tempo per colmare la lacuna. Basta volerlo.
La via dell’indipendenza, come dicono tutti, è lunga e complessa. Basta guardare la Catalogna, i Paesi Baschi, gli Scozzesi… che, attraverso decenni di lotte, si sono conquistati autonomia e rispetto – non solo da parte dello Stato che li trattiene ma anche a livello internazionale – ma non l’indipendenza. Ogni volta che mi capita di andare in Catalogna o in Euskadi mi vengono i brividi nel constatare il livello di autonomia che hanno raggiunto e coltivato ma, soprattutto, come la usano!
Nei miei primi anni a Bruxelles la Spagna era appena entrata nella “Comunità Europea” e i catalani avevano già li la loro bella lobby, il “Patronat Català Pro Europa”. Sempre nella zona delle istituzioni europee, in una delle vie principali sventolava la bandiera di Euskal Herria.
Oggi, nel 2017, vi invito a fare un salto nel Rond Point Shuman, una famosa “rotonda” di Bruxelles, e vedere come è ridotto l'”ufficio di Bruxelles” della Regione Sardegna. Due misere stanzette subaffittate nella sede della Regione Lazio!
Ma non vi voglio annoiare con questioni di condominio.
In merito alla seconda domanda, ritorno un attimo agli inizi degli anni 90. I tempi di Mario Melis, Euro-parlamentare eletto dai sardi – e non dalle segreterie dei partiti o con il sistema del gratta-e-vinci online, oggi consentiti da una legge elettorale (24 gennaio 1979, n.18) truffaldina con cui, di fatto, la Sardegna tollera di essere discriminata rispetto alle altre regioni -.
Jacques Delors era Presidente della Commissione Europea. Si lavorava tutti all’ “Obiettivo 92”: la libera circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali in un grande Mercato Unico Europeo di oltre 320 milioni di consumatori. Il Muro di Berlino era appena stato abbattuto.
Un fermento europeista percorreva l’Europa e tutte le capitali degli allora 12 stati, che in breve sarebbero diventati 15. Si iniziava a parlare di Unione Politica ed il nuovo Trattato di Maastricht, con la creazione di una nuova Istituzione, il Comitato delle Regioni, poneva le basi per un futuro probabile: L’Europa delle Regioni. Quella che, già tanti anni prima, veniva auspicata da Einaudi(*) e dagli altri “padri fondatori”.
Un Sardo, Mario Melis, che ebbi l’onore di conoscere, contribuì fortemente a quella conquista delle regioni europee e di noi “europeisti sino al midollo”. Conservo ancora le copie cartacee del suo intervento al Parlamento Europeo nel febbraio del 1990 e della sua Relazione alla “II Conferenza Parlamento Europeo-Regioni della Comunità” che si tenne a Strasburgo nel 1991.
Si trattava, tra l’altro, del “ruolo delle regioni, quali forze emergenti per articolare e organizzare una moderna democrazia nel governo dell’Europa”, e della “Rappresentanza delle regioni e della loro partecipazione all’elaborazione, applicazione e valutazione delle politiche strutturali e delle politiche comuni”.
Ma torniamo ai giorni nostri.
Purtroppo l’Europa è andata verso un’altra direzione, divenendo un comodo giocattolino degli stati membri. Anzi, di qualche Stato membro o forse solo di uno. Noi “europeisti sino al midollo” abbiamo perso diverse battaglie. Ma la Guerra non è finita. Nonostante coloro che, con EXIT o minacce di EXIT, deposte le armi scelgono il disonore della ritirata.
L’Europa dei Popoli. L’Europa delle Regioni. Ecco l’Europa che vogliamo. Ecco il grande ideale per cui vale la pena di continuare a lottare!
Poi rientro in Sardegna, mi guardo intorno e mi chiedo: perché continuare testardamente a percorrere un cammino solitario, invece di investire su un progetto comune come l’“Europa delle Regioni”, condiviso con le altre regioni e “nazioni senza stato” europee?
Chiudo con qualche parola sulla Sostenibilità, divenuta ormai un comodo slogan buono per tutte le stagioni e dietro cui si celano scelte che di sostenibile hanno ben poco (e questa giunta regionale ne sa qualcosa). Oggi la sostenibilità è un concetto considerato da troppi come “studiatamente opaco”, se non addirittura “ambiguo” e sulla sostenibilità, purtroppo, ci si può costruire di tutto.
Se si intendesse usare la Sostenibilità come base per un progetto politico, occorrerebbe chiarirla bene, ripulirla e riportarla alle origini. Cosa non facile se non impossibile.
Personalmente, ritengo che per fondare una nuova proposta politica che sia credibile e efficace, occorra avere il coraggio di ispirarsi ai principi della Decrescita e, in particolare, agli 8 punti programmatici proposti da Serge Latouche. Sembrano scritti per noi!
(*)”Scrivevo trent’anni fa e seguitai a ripetere invano e ripeto oggi, spero, dopo le terribili esperienze sofferte, non più invano, che il nemico numero uno della civiltà, della prosperità, ed oggi si deve aggiungere della vita medesima dei popoli, è il mito della sovranità assoluta degli stati. Questo mito funesto è il vero generatore delle guerre; desso arma gli stati per la conquista dallo spazio vitale; desso pronuncia la scomunica contro gli emigranti dei paesi poveri; desso crea le barriere doganali e, impoverendo i popoli, li spinge ad immaginare che, ritornando all’economia predatoria dei selvaggi, essi possano conquistare ricchezza e potenza.”.
Luigi Einaudi. Da: La guerra e l’unità europea – Discorso alla Costituente, 29 luglio 1947.