Proponiamo un interessante articolo di Nicola De Michelis, Direttore presso la Direzione generale Politica regionale e urbana della Commissione europea.
Il
bilancio dell'Unione è fissato per sette anni. Il 2020 è l'ultimo anno
del settenato in corso. Il bilancio per i sette anni 2021-2027 non è
ancora definito, e la Commissione si è impegnata a rivedere nei prossimi
giorni la proposta - che aveva fatto nel 2018 e che Parlamento e
Consiglio stavano discutendo - per adattarla al nuovo contesto.
Questa
premessa è importante perché quando la Commissione a fine
febbraio/inizio marzo cercava risorse finanziarie per sostenere gli
Stati membri nella loro lotta contro il COVID-19, si è trovata con
pochissimi margini, dovuti per l'appunto al fatto di essere alla fine
del settenato in corso. Le uniche risorse disponibili si sono rivelate
quelle della politica di coesione e dei suoi fondi strutturali, la cui
attuazione è sempre e strutturalmente in ritardo di qualche anno
rispetto al resto delle altre politiche e strumenti finanziati dal
bilancio europeo.
È così che è nata la Coronavirus Response Investment Initiative.
A
metà marzo, la Commissione ha presentato i primi elementi di questa
iniziativa: un aumento della liquidità immediatamente disponibile agli
Stati e una flessibilità sulla tipologia di investimenti da finanziare.
Il primo elemento riguarda quasi 8 miliardi di euro relativi agli
anticipi concessi agli Stati nel 2019. Normalmente, questi anticipi sono
restituiti dagli Stati a chiusura dell'anno contabile. La Commissione
ha deciso di lasciare queste risorse nelle casse dei bilanci nazionali.
Per l'Italia si tratta di 850 milioni di euro a cui si aggiungono i
nuovi anticipi per il 2020 versati tra fine marzo ed inizio aprile, per
un totale di 1.8 milardi di euro di liquidità. Il secondo elemento
permette agli Stati di finanziare misure che non sono normalmente
sostenute dalla politica di coesione europea: sostegno al reddito,
capitale circolante nelle imprese, e tutto ciò che è necessario per
sostenere e rafforzare il sistema sanitario.
Consiglio
e Parlamento hanno rapidamente approvato queste misure per
sottolinearne l'urgenza, misure che sono entrate in vigore il primo
aprile. Nel corso delle discussioni, molti paesi avevano indicato che
misure ulteriori sarebbero state necessarie. E, in effetti, ad inizio
aprile la Commissione ha presentato un secondo gruppo di misure mirate
essenzialmente a dare flessibilità finanziaria agli Stati ed alle
regioni per destinare le risorse disponibili agli investimenti necessari
per fare fronte alla crisi. È così che la Commissione propone di potere
spostare risorse tra programmi, tra fondi, tra regioni, e tra priorità.
Inoltre, la Commissione propone anche alcune misure per snellire il
funzionamento della politica e per permettere ai paesi di rinunciare
all'obbligo di cofinanziare le risorse europee.
Cosa
vuol dire in pratica? Le risorse finanziarie della politica di coesione
sono distribuite tra programmi regionali e nazionali che fissano
obiettivi e priorità per sette anni. È questo il senso di una politica
strutturale che opera sul medio periodo. Con queste nuove regole, la
Commissione dice in sostanza che - data l'emergenza - si possono
spostare risorse dove c’è bisogno, sui territori più colpiti, sui fondi
più appropriati, sulle misure più urgenti. E, per far questo, è
necessario derogare ad alcuni dei vincoli previsti. Dunque, le risorse
che erano previste, per esempio, per piani di efficientamento energetico
possono essere spostate sulla sanità; le risorse del Fondo europeo di
sviluppo regionale destinate a investimenti sulla rete viaria possono
essere spostate sul Fondo sociale europeo per sostenere la cassa
integrazione; le risorse previste per investimenti in una regione meno
colpita dal virus possono essere messe a disposizione del sistema
sanitario di un'altra regione più esposta. Ovviamente, queste sono
flessibilità che i paesi possono usare, ma non sono obbligati ad usare.
E
in Italia? I fondi strutturali in Italia rappresentano poco piu di 50
miliardi di euro sui sette anni, di cui quasi 32 miliardi di risorse
europee. L'Italia ha selezionato operazioni per un valore di quasi 41
miliardi, di cui 29 sono impegnati, e quasi 16 rendicontati alla
Commissione europea. In teoria, dunque, le risorse disponibili variano
tra i 21 ed i 9 miliardi a seconda che si considerino le operazioni
selezionate o quelle impegnate come non più disponibili per finanziare
misure relative alla crisi. In realtà, anche queste cifre sono
approssimative, perché spesso bandi di gara che sono già stati lanciati
non sono inclusi in questi numeri.
Il
primo lavoro da fare, dunque, è una ricognizione programma per
programma, priorità per priorità, progetto per progetto, per stabilire
quali sono effettivamente le risorse potenzialmente disponibili per far
fronte alla crisi. Il Governo ha recentemente proposto a tutte le
autorità responsabili dei programmi cofinanziati dalla politica di
coesione europea di dedicare il 20% delle risorse alle misure
anti-crisi, ovverosia 10 miliardi di euro. Dieci miliardi che potrebbero
essere meno, se l'Italia decide di non cofinanziare questi interventi:
in questo caso, si tratterebbe di poco più di 6,3 miliardi di euro.
Il
secondo lavoro è identificare le misure da finanziare, o lasciando a
ciascuna autorità regionale o nazionale di decidere le misure
prioritarie o convogliando le risorse su grandi interventi di carattere
nazionale.
La
discussione è in corso. La Commissione è in contatto quotidiano con
Governo e regioni per accompagnare questo processo, accelerarne la
conclusione in modo da potere ripogrammare le risorse per finanziare
interventi che sono oggi più che mai urgenti.
Nicola De Michelis