giovedì 13 febbraio 2020

Realizzazione di grandi opere e valutazione di impatto ambientale: la Commissione Europea mette in mora l'Italia. Come funziona la procedura e, soprattutto, chi paga in caso di sanzioni?

Mentre in luoghi come la Sardegna l'amministrazione regionale e la stampa locale, supportate da una allegra legislazione nazionale, danno per scontate autorizzazioni alla realizzazione di opere troppo spesso inutili e pericolosamente impattanti, come ad esempio un gasdotto, la Commissione Europea invita formalmente l'Italia a conformare la propria legislazione alla Direttiva europea sulla valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti (direttiva VIA 2011/92 / UE). 

In sintesi, questa Direttiva garantisce che l'impatto sull'ambiente dei progetti pubblici e privati ​​venga opportunamente valutato prima di qualunque autorizzazione alla sua realizzazione. La legislazione dell'UE in tale ambito particolarmente importante e delicato è stata riformata nell'aprile del 2014 (direttiva 2014/52 / UE) soprattutto per garantire una maggior tutela alle popolazioni ed ai territori interessati, sia riducendo gli oneri amministrativi, che migliorando il livello di protezione ambientale e rendendo le decisioni sugli investimenti pubblici e privati ​​più solide, prevedibili e sostenibili. In Italia, le carenze della legislazione nazionale denunciate dalla Commissione riguardano, tra l'altro, il modo in cui il pubblico (cittadini, cittadine, enti locali, associazioni, imprese, etc..) dovrebbe essere efficacemente e concretamente consultato in merito alla realizzazione di una determinata opera. In considerazione di tali carenze che vengono considerate possibili violazioni al Diritto dell'UE(1) (che, è bene ricordarlo, prevale su quello nazionale) la Commissione ha deciso di avviare una procedura d'infrazione contro l'Italia, inviando al Governo una "lettera di costituzione in mora". L'Italia ha ora due mesi di tempo per rispondere e correggere la propria legislazione. In caso contrario, la Commissione può decidere di inviare un "parere motivato" alle autorità italiane, cioè una richiesta formale di conformarsi al diritto dell’UE. Nel Parere si spiega il perché Bruxelles ritiene che l'Italia violi il diritto Europeo, chiedendo inoltre di comunicare le misure adottate per conformarsi, entro un termine che, generalmente, non supera i due mesi. Se il governo italiano continuasse a non conformarsi alla legislazione, la Commissione potrebbe decidere di deferirlo dinanzi alla Corte di giustizia dell'UE.
Nella maggior parte dei casi la questione si risolve prima di essere sottoposta alla Corte ma, se un paese dell'UE non comunica in tempo utile e in modo convincente le misure con cui intende attuare le disposizioni di una Direttiva, la Commissione può chiedere alla Corte di Giustizia di imporre delle sanzioni e, se la Corte dovesse dare ragione alla Commissione, queste verrebbero senz'altro applicate in tutta la loro gravità (2)
Purtroppo, il problema è che quelle sanzioni non di certo vengono pagate dalle tasche di coloro che hanno materialmente violato le regole (ministri, presidenti di regioni, assessori, etc...) ma dai cittadini e dalle cittadine che, immancabilmente, vengono convinti che sia "tutta colpa dell'Unione Europea". 
Comodo, no?

(1) Si ricorda che in una storica Sentenza (Caso Francovich) la Corte di Giustizia dell'UE stabilisce che: "sarebbe messa a repentaglio la piena efficacia delle norme comunitarie e sarebbe infirmata la tutela dei diritti da esse riconosciuti se i singoli non avessero la possibilità di ottenere un risarcimento ove i loro diritti siano lesi da una violazione del diritto comunitario imputabile ad uno Stato membro".
(2) Dal 2012 sono costate all'Italia circa 550 milioni di euro.Peraltro, il 26% delle infrazioni contestate riguardano l'ambiente (Fonte: OpenPolis)

LA RASSEGNA DELLA STAMPA ITALIANA (E NON SOLO) SULL'UE

LA RASSEGNA DEL 28 NOVEMBRE 2024

  Oggi solo in formato PDF! 👇👇👇👇👇👇👇 Scaricala qui