Ciò che è accaduto qualche giorno fa in Sardegna con l'arresto di Puidgemont - che oggi può tornare in Belgio grazie ad una immunità di cui, purtroppo, una decina di suoi "compagni di lotta" non hanno potuto beneficiare - mi ha riportato ad una mia nota pubblicata qualche anno fa ma in buona parte ancora attuale. Si tratta di un dibattito mai nato e che io, nel mio piccolo, non sono ovviamente in grado di avviare....Può darsi anche che si tratti di un dibattito "scomodo" perchè turba le aspettative di chi, in Sardegna, sulla brezza dello stanco "dibatito" attuale ci naviga da decenni, con i risultati che sono quotidianamente dinanzi ai nostri occhi, in particolare in tema di benessere, felicità, miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro nella nostra Isola e non solo.
Approfitto anche per stimolare un doveroso approfondimento circa la complessa situazione politica catalana (qui un ottimo articolo di #RiccardoPennisi), sulla controversa figura di Puidgemont e sulla ancor più controversa figura del suo mentore, Jordi Pujol.
Ecco una parte della mia nota:
".......– Ê opportuno continuare ad inseguire l’indipendenza, senza aver dimostrato di saper gestire e coltivare l’autonomia?
– Non sarebbe meglio investire su un progetto più ampio e condiviso come l’Europa delle Regioni?
(...) Sono da molto tempo fortemente convinto che l’unica via per assicurare alla Sardegna, e a chi ci vive, un’esistenza e un futuro liberi e dignitosi, sia quella di affrancarsi da questo sistema economico-finanziario (sostenuto anche localmente da una specie di “sistema politico” connivente, opportunamente plasmato, ben oliato e premiato) che sta portando noi e l’intero Pianeta alla rovina.
Dall’altra parte sono anche convinto che per far questo e, quindi, ambire all’indipendenza, non solo da uno Stato ma da un sistema, occorre un elemento fondamentale: un Popolo unito. Elemento che in Sardegna è presente solo in piccolissima parte. È sufficiente guardarsi intorno per notarlo. So che questa affermazione susciterà l’indignazione di qualcuno ma Popolo non si nasce, lo si diventa. Quindi siamo teoricamente ancora in tempo per colmare la lacuna. Basta volerlo.
Come è noto la via dell’indipendenza è lunga e complessa. Basta guardare la Catalogna, i Paesi Baschi, gli Scozzesi… Che attraverso decenni di lotte hanno conquistato, si, autonomia e rispetto – non solo da parte dello Stato che li trattiene ma anche a livello internazionale – ma non l’indipendenza. Ogni volta che mi capita di andare in Catalunya (dove ho vissuto per qualche tempo) o in Euskadi, mi vengono i brividi nel vedere l'amore ed il rispetto che hanno per la loro Terra ed il livello di autonomia che hanno raggiunto e coltivato ma, soprattutto, come la usano!
Nei miei primi anni di vita e di lavoro a Bruxelles la Spagna era appena entrata nella “Comunità Europea” e i catalani avevano già li la loro bella lobby: il “Patronat Català Pro Europa”. Sempre nella zona delle istituzioni europee, in una delle vie principali sventolava la bandiera di Euskal Herria.
Oggi, nel 2017, vi invito a fare un salto nel Rond Point Shuman, una famosa “rotonda” di Bruxelles, e visitare l'ufficio di Bruxelles della Regione Sardegna, due stanzette subaffittate nella sede della Regione Lazio. Ma non vi voglio annoiare con questioni di condominio.
(....) Ritorno un attimo agli inizi degli anni 90, al tempo di Mario Melis, Euro-parlamentare eletto dai sardi e non dalle segreterie dei partiti, o con il sistema del gratta-e-vinci online, oggi consentiti da una legge elettorale (24 gennaio 1979, n.18) truffaldina con cui, di fatto, la Sardegna tollera di essere discriminata rispetto alle altre regioni -. In quel periodo Jacques Delors era Presidente della Commissione Europea. A Bruxelles si lavorava tutti con entusiasmo all’ “Obiettivo 92”: la libera circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali in un grande Mercato Unico Europeo di oltre 320 milioni di consumatori. Il Muro di Berlino era appena stato abbattuto.
Un fermento europeista percorreva l’Europa e tutte le capitali degli allora 12 stati, che in breve sarebbero diventati 15. Si iniziava a parlare di Unione Politica. Il nuovo Trattato di Maastricht, con la creazione di una nuova Istituzione, il Comitato Europeo delle Regioni, poneva le basi per un futuro probabile della nuova Unione europea che allora nasceva: L’Europa delle Regioni. La stessa Europa che, già tanti anni prima, veniva auspicata da Einaudi(*) e dagli altri “padri fondatori” e "madri fondatrici".
Un Sardo che ebbi l’onore di conoscere, Mario Melis appunto, contribuì fortemente a quella conquista delle regioni europee e di noi “europeisti sino al midollo”. Conservo ancora le copie cartacee del suo intervento al Parlamento Europeo nel febbraio del 1990 e della sua Relazione alla “II Conferenza Parlamento Europeo-Regioni della Comunità” che si tenne a Strasburgo nel 1991.
Si trattava, tra l’altro, del “ruolo delle regioni, quali forze emergenti per articolare e organizzare una moderna democrazia nel governo dell’Europa”, e della “Rappresentanza delle regioni e della loro partecipazione all’elaborazione, applicazione e valutazione delle politiche strutturali e delle politiche comuni”.
Ma torniamo ai giorni nostri.
Purtroppo l’Europa è andata verso un’altra direzione, divenendo un
comodo giocattolino degli stati membri. Noi “europeisti sino al midollo” abbiamo perso
diverse battaglie. Ma la Guerra non è finita. Nonostante coloro che, con
EXIT o minacce di EXIT, deposte le armi scelgono il disonore della
ritirata.
L’Europa dei Popoli. L’Europa delle Regioni. Ecco l’Europa che
vogliamo. Ecco il grande ideale per cui vale la pena di continuare a
lottare!
Poi rientro in Sardegna, mi guardo intorno e mi chiedo: perché
continuare testardamente a percorrere un cammino solitario, invece di
investire su un progetto comune come l’“Europa delle Regioni”, condiviso
con le altre regioni e “nazioni senza stato” europee?......".
(*)”Scrivevo trent’anni fa e seguitai a ripetere invano e ripeto
oggi, spero, dopo le terribili esperienze sofferte, non più invano, che
il nemico numero uno della civiltà, della prosperità, ed oggi si deve
aggiungere della vita medesima dei popoli, è il mito della sovranità
assoluta degli stati. Questo mito funesto è il vero generatore delle
guerre; desso arma gli stati per la conquista dallo spazio vitale; desso
pronuncia la scomunica contro gli emigranti dei paesi poveri; desso
crea le barriere doganali e, impoverendo i popoli, li spinge ad
immaginare che, ritornando all’economia predatoria dei selvaggi, essi
possano conquistare ricchezza e potenza.”.
Luigi Einaudi. Da: La guerra e l’unità europea – Discorso alla Costituente, 29 luglio 1947.